I topi del cimitero by De' Medici Carlo H

I topi del cimitero by De' Medici Carlo H

autore:De' Medici, Carlo H. [De' Medici, Carlo H.]
La lingua: ita
Format: epub
editore: Cliquot
pubblicato: 2019-12-14T23:00:00+00:00


Un morso

Passavo, quella mattina, per il quartiere formicolante e rumoroso dei macelli.

Davanti a me trotterellava uno di quei cagnetti bianchi, grossi un pungo, dal pelo arruffato e dalle gambe storte: risultato finale di una complicata serie di incroci e di ridicoli imbastardimenti.

Quella piccola, innocente e buffa bestiola attirò subito la mia attenzione.

Io amo i cani quasi quanto le donne; certo più degli uomini.

Rassicuratevi! Non vi terrò una conferenza apologetica sulla razza canina, né vi parlerò dei suoi pregi e della sua incontestabile superiorità morale in confronto alla razza uomo. Vi dirò solo che seguii quel piccolo bastardo bianco per un lungo tratto di via, lieto di vederlo saltellare libero tra i mucchi di immondizie o scodinzolare dietro alle cagne per fare loro il suo bravo complimento.

Vi confesserò anche che mi dilettai a contare quante volte, in un minuto, egli si fermasse per alzare, con mossa civettuola e teatrale, la sua gambetta, con uno squisito disprezzo per tutte le cose umane.

E debbo dirvi pure che la gioia superba, irriverente, ostentata di quel bastardino, arruffato sì, ma fiero, indipendente, libero di lacci, etichette e padrone, mi fece un poco arrossire, al pensiero che io, uomo, un padrone, un’etichetta e un laccio mi tolleravo.

Ma non ebbi tempo di approfondire il mio disagio.

A un crocicchio, quando meno lo prevedevo, balzarono dall’ombra dove erano imboscati sei o sette sgherri armati.

Alcuni brandivano certi stocchi appuntati, lunghissimi. Altri impugnavano delle durlindane luccicanti, affilate, dall’elsa a conchiglia, come la draghinasse dei moschettieri.

Uno di loro, il più arrogante e coraggioso, certo – lo intuii dal suo passo marziale da matador, o da maresciallo – maneggiava un laccio metallico, con gesti da gaucho o da cowboy.

E, dietro a quel pattuglione torvo e spavaldo, un colossale carro ferrato, corazzato, trainato da un vecchio cavallo – strappato a qualche illustrazione dell’apocalisse – cigolava sulle sue ruote, come il leggendario carroccio dei lombardi.

Restai perplesso, allarmato, e non compresi subito chi fossero, che cosa cercassero, né contro quale nemico invisibile marciassero con tanta strategica circospezione.

“Sarà scoppiata la guerra” pensai.

Correranno a difendere le porte della capitale… Forse si avvieranno, per rincalzo, nei sobborghi, dove la pugna già infuria crudele e sanguinaria…

E stavo per ritornare prudentemente sui miei passi: perché non amo trovarmi nelle contese tra uomini e uomini.

Ma ecco, invece, l’intero pattuglione scattare in un improvviso assalto e precipitarsi, con una foga veramente eroica, addosso al piccolo, invisibile cagnetto bianco.

Compresi allora che la guerra non era ancora scoppiata: e capii, alfine, quale fosse la nobile e pericolosa missione di quegli scherani armati.

La bestiola fu acciuffata per il collo – col laccio, s’intende – e sollevata in aria, tale una sardella pigliata all’amo, mentre i guerrieri tutti tendevano verso il nemico vinto le loro spade luccicanti, non saprei dirvi se in atto di esultanza per la bella vittoria o viceversa per proteggere un eventuale contrattacco.

Cinque secondi dopo, la belva era imprigionata nel carroccio e urlava, urlava: urlava tanto da impietosire anche un uomo. Ma la pietà non è virtù umana: specialmente la pietà per gli amici. E il cane è appunto l’amico dell’uomo.



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